L’industria conciaria viene spesso considerata una minaccia per l’impatto ambientale, ma a quali rischi andremmo incontro se non si lavorasse la pelle? Molti sono i fattori da tenere in considerazione.
La pelle è un materiale organico che, se non trattato correttamente, si decompone fino ad arrivare alla putrefazione, divenendo così rifiuto da smaltire, processo che potrebbe richiedere molte risorse e incrementare l’inquinamento dei suoli e delle acque.
È chiaro che la lavorazione della pelle si avvale di fonti come l’acqua, l’energia e le sostanze chimiche, ma elidendo la pratica conciaria queste verrebbero sprecate al pari della pelle animale. Già l’uomo preistorico si accorse che essa non era un materiale di scarto, bensì di recupero poiché utile come protezione dagli agenti atmosferici.
La continua ricerca e l’innovazione hanno condotto oggi ad ottimi risultati per quanto concerne la minimizzazione degli scarti derivanti processi di lavorazione della pelle; essi vengono trasformati in sostanze utili in svariati contesti come l’agricoltura, la cosmetica, l’industria farmaceutica e altri.
La conciatura impatta anche sulla biodiversità in quanto la domanda di pelli provenienti da fonti sostenibili comporta l’allevamento di animali per la produzione della concia, e ciò è un importante contributo alla diversità biologica in alcune regioni.
L’industria conciaria è attiva già da molto tempo in termini di sostenibilità ambientale e punta al miglioramento continuo attraverso pratiche sempre più efficienti.